RACCONTO: NEL GIARDINO SEGRETO
Era il posto più incantevole e misterioso che si potesse immaginare. Le alte mura che lo circondavano erano ricoperte da rami spogli di rose rampicanti, talmente fitti da formare come un groviglio. Mary Lennox sapeva bene che si trattava di rose, perché in India ne aveva già viste moltissime. Il terreno era tutto ricoperto di erba resa scura dalla stagione invernale, da cui spuntavano gruppi di cespugli che dovevano sicuramente essere di rose, se erano ancora vivi. Alcuni di quei cespugli avevano talmente allungato i loro rami da sembrare veri e propri alberelli, anche se non troppo alti. Vi erano anche altri alberi nel giardino, ma la cosa più affascinante e singolare era che le rose rampicanti vi si erano aggrappate formando aerei intrecci ondeggianti tra un ramo e l’altro, come meravigliosi ponti sospesi nell’aria. In quel momento non c’erano rose e neppure foglie, e Mary non sapeva se le piante fossero morte oppure vive; ma i loro rami grigi e marroni che ricoprivano tutto come un manto, i muri, gli alberi e persino l’erba bruna là dove erano caduti e crescevano a terra, conferivano al luogo un’aria misteriosa.
Mary aveva immaginato che quel giardino dovesse essere diverso da tutti gli altri che non erano rimasti così a lungo abbandonati a se stessi; e difatti era diverso, assai diverso da qualsiasi altro luogo avesse mai visto in vita sua.
«Che silenzio!», sussurrò. «Che gran silenzio!...».
Rimase come in attesa per qualche istante, ascoltando il silenzio. Anche il pettirosso, volato in cima al solito albero, taceva come tutto il resto; non batteva neppure le ali: rimaneva immobile sul ramo, fissando la bambina.
«Non mi stupisce che ci sia tanto silenzio!...», bisbigliò ancora Mary. «Dopo dieci anni sono la prima persona, qui, a pronunciare qualche parola».
Si allontanò dalla porta camminando in punta di piedi, come se temesse di svegliare qualcuno. Era contenta che l’erba attutisse i suoi passi. Si fermò sotto uno di quei ponti simili a festoni cresciuti come per incanto da un albero all’altro, guardando i viticci e i rami che lo formavano.
«Chissà se sono del tutto morti?», disse. «Non sarà mica un giardino completamente morto? Oh, vorrei tanto di no!...».
Comunque, si trovava finalmente dentro quel meraviglioso giardino. Ora poteva andarci quando voleva, attraverso la porta celata dall’edera: le sembrava di avere scoperto un mondo tutto suo.
Fra quei quattro muri il sole splendeva radioso, e il cielo azzurro sopra il giardino appariva ancora più brillante e dolce di quello che si stendeva sulla brughiera. Il pettirosso volò giù dalla cima dell’albero e prese a saltellarle intorno, seguendola da un cespuglio all’altro. Tutto era strano e muto, e Mary aveva la sensazione di trovarsi a centinaia e centinaia di miglia da ogni essere umano, eppure nonsi sentiva affatto sola. La turbava soltanto il desiderio di sapere se tutti i roseti fossero ormai morti o se per caso alcuni fossero ancora vivi e potessero ricoprirsi di foglie e boccioli non appena sarebbe stato un po’ più caldo. Voleva davvero con tutto il cuore che il giardino non fosse completamente morto: poteva essere uno splendore con migliaia di rose fiorite da ogni parte!...
Dopo avere girellato un po’ decise di fare il giro del giardino saltando, fermandosi solo quando le veniva voglia di guardare meglio qualcosa. Sembrava ci fossero stati dei sentieri qua e là fra l’erba, e in qualche angolo vide padiglioni di sempreverdi con sedili di pietra e grandi vasi da fiori ricoperti di muschio.
Accostandosi al secondo padiglione, smise di saltare. Lì, un tempo, c’era stata un’aiuola di fiori, e Mary credette di vedere qualcosa che spuntava dalla terra nera: si trattava di alcune aguzze puntoline color verde pallido.
Si ricordò di quanto le aveva detto Ben Weatherstaff e si chinò per esaminarle.
«Queste cosine piccole piccole sono delle pianticelle che spuntano... Potrebbero essere crochi o bucaneve, oppure narcisi», mormorò.
Si chinò per annusarle e fiutò la fresca fragranza della terra umida, che le piacque moltissimo.
«Magari ce ne sono altre», disse. «Farò il giro del giardino per controllare».
«Non è un giardino morto del tutto», esclamò dolcemente a se stessa. «Anche se tutte le rose fossero morte, ci sono tante altre piante ancora vive».
Mary non sapeva quasi nulla di giardinaggio, ma in certi punti dove l’erba era particolarmente fitta ebbe come l’impressione che quelle puntoline verdi cercassero di aprirsi a fatica un varco per crescere.
Si guardò intorno finché non trovò un pezzetto di legno sufficientemente aguzzo. Si mise in ginocchio, scavando e strappando le erbacce fino a formare dei piccoli spazi sgombri intorno ai puntolini verdi.
«Ora direi che potranno respirare meglio», disse dopo aver liberato i primi germogli. «Farò sempre così, e farò tutto il possibile. Se non faccio in tempo oggi, tornerò domani».
Passava da un’aiuola all’altra, scavando, strappando via le erbacce, e si divertiva talmente che, finite le aiuole, si mise a strappare anche l’erba ai piedi degli alberi.
Anche il pettirosso era piuttosto affaccendato, lieto di vedere che qualcuno cominciava a occuparsi del posto dove abitava(...)
Mary lavorò nel giardino fino all’ora di pranzo. Per tutto quel tempo si era sentita davvero felice; e adesso lì dove erano state tolte le erbacce che le soffocavano si potevano vedere decine e decine di puntoline verde chiaro che avevano un aspetto alquanto migliore di prima.
«Tornerò nel pomeriggio», disse girando lo sguardo sul suo nuovo regno, rivolgendosi agli alberi e ai cespugli come se potessero udirla. Quindi corse leggera attraverso il prato, aprì la vecchia porta e sgusciò fuori in mezzo all’edera.
(da Frances E. Burnett, Il giardino segreto, cap.9)