vescovo ovidioIl messaggio del Vescovo Ovidio per l'Estate 2017

Il tempo della vita che ci è dato è dono, gratuità e libertà.

Il tempo è dono, anzitutto, perché lo riceviamo, lo accogliamo come evento non manipolabile, non come realtà nei confronti della quale assumere atteggiamenti di sfida. Ciò significherebbe deturpare l’identità del tempo, che in sé è dono bello e buono.

Il tempo, in secondo luogo, è gratuità. Gratuitamente ci è stato donato, nella stessa gratuità lo condividiamo e ne gustiamo la profondità di senso che porta con sé. In questa prospettiva non si può competere con il tempo ingaggiando una lotta che lo rende nemico perverso e ostile alle nostre vite.

Infine, il tempo è magistero di libertà. Se vissuto nella sapienza del dono e della gratuità il tempo ti riconsegna libertà, aprendo un orizzonte di sguardi non scontati, di pensieri non banali e di gesti inaspettati, che generano prossimità, compassione e lettura non viziata né preconcetta della nostra storia e di quella delle persone con le quali condividiamo il cammino della vita quotidiana.

Due testimonianze bibliche possono aiutarci a precisare questi aspetti propri del tempo applicati alla vita.

Ad Abramo, all’inizio della sua vocazione, è detto dal Signore: «Esci dal tuo paese (lett.: Va’ verso te stesso), dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso un paese che io ti indicherò» (Gen 12,1). Il primo movimento che Abramo è chiamato a compiere davanti a Dio è quello di ritrovare se stesso, imparare a leggere il senso del suo tempo e della sua storia dal punto di vista di Dio e non dei propri calcoli o convenienze prudenziali. In un tempo in cui Abramo pensava alla sua vita come esperienza conclusa, perché nulla più aveva da chiedere alla sua agiata condizione, il Signore lo chiama a rimettersi in cammino, incominciando dal ritrovare se stesso, in un tempo nuovo, quello che Dio gli preparava.

La seconda testimonianza è quella di Gesù trasmessaci da Lc 12,56-57: «Ipocriti, sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?». È un ammonimento severo per ogni discepolo dell’Evangelo perché cammini nella vigilanza, nel saper valutare ben oltre le apparenze immediate. È necessario discernere a partire da questo tempo in cui la parola dell’Evangelo domanda di fare posto nelle nostre povere vite. La Parola chiede di farsi prossimità amante perché attraverso di essa possiamo conoscere il Signore come l’Unico delle nostre esistenze e a partire dal quale il nostro cammino è sostenuto da una speranza che non delude (cfr. Rm 5,5).

Sta davanti a noi un tempo di riposo (per chi può), di astensione dal lavoro (per chi ce l’ha), di pausa estiva o di vacanza. Non è tempo di evasione mondana dalla complessità del reale; non è tempo per rimuovere quanto non vogliamo affrontare direttamente, rimandando a un domani di cui non abbiamo certezza.

Sta davanti a noi l’oggi della nostra vita, dono gratuito, sorgente di libertà, che ci mette nella condizione di ritrovare noi stessi davanti a Dio e agli altri nel silenzio, nell’ascolto, nell’incontro con il volto dell’altro e nella fraternità riconciliata.

La preghiera della Chiesa esprime in modo illuminante gli aspetti che abbiamo richiamato; diventi anche la nostra umile invocazione davanti al Padre: «Arda nei nostri cuori, o Padre, la stessa fede che spinse Abramo a vivere sulla terra come pellegrino e non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna. Per Cristo nostro Signore» (Messale Romano, 998).

+ Ovidio Vezzoli
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