La catechesi di Fausto Negri del 11 gennaio 2009 (parte 1)
"Chi ama è paziente. Chi è paziente sa amare. L’amore è paziente e benevolo. Questi due pilastri sostengono, insieme, la casa dell’amore. La pazienza, a sé stante, può infatti asservire o indurire una persona: in certe situazioni atteggiamenti troppo pazienti possono sconfinare nel masochismo. La benevolenza, da sola, diventa ben presto buonismo, sdolcinatezza. La pazienza è buona se benigna, cioè finalizzata al bene del partner. La bontà è tale solo se è paziente, se cioè sa rispettare che l’altro cresca secondo i suoi ritmi."
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PARROCCHIA S.GIUSEPPE LAVORATORE - 11 Gennaio 2009
Gli ingredienti dell’amore
- 1 Cor 13,4 -
1- AMARSI CON PAZIENZA: L’amore è paziente
Chi ama è paziente. Chi è paziente sa amare. L’amore è paziente e benevolo. Questi due pilastri sostengono, insieme, la casa dell’amore. La pazienza, a sé stante, può infatti asservire o indurire una persona: in certe situazioni atteggiamenti troppo pazienti possono sconfinare nel masochismo. La benevolenza, da sola, diventa ben presto buonismo, sdolcinatezza. La pazienza è buona se benigna, cioè finalizzata al bene del partner. La bontà è tale solo se è paziente, se cioè sa rispettare che l’altro cresca secondo i suoi ritmi.
Oggi la capacità di sopportare diminuisce sempre più. Sopportare pazientemente, perseverare, sono virtù poco richieste nel mondo moderno. Anzi, nella società del “tutto e subito” vengono considerati valori la velocità, la prestazione e il risultato immediato. Noi siamo così portati a trasferire ai rapporti personali ciò che succede nel mondo produttivo.
Chi ama sopporta che i tempi del partner siano diversi dai propri. San Giacomo, nella sua esortazione alla pazienza, prende ad esempio il contadino che «aspetta pazientemente il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le piogge d’autunno e le piogge di primavera» (Gc 5,7).
Come c’è bisogno di più stagioni perché si formi un fiore, così la crescita umana ha bisogno di tempo: il cambiamento avviene lentamente, talvolta in maniera impercettibile. Tutto ciò che mette foglie in fretta si dissecca anche velocemente.
Cerca perciò di acquisire, giorno dopo giorno, l’arte della pazienza.
Innanzitutto sii paziente con te stesso, cioè con i tuoi limiti e possibilità.
Chi ha pazienza con se stesso è in grado di lasciare che l’altro sia quel che è e di amarlo per come è.
Affronta poi le varie circostanze con calma. Prenditi tempo.
Accetta con più indulgenza le fragilità e gli sbagli di chi ti sta accanto. «Chi ama non ha fretta». Eleva la pazienza al di sopra dei moti del tuo umore quotidiano.
Nei periodi bui, sii resistente. Essere paziente significa, alla fin fine, capire che non dipende tutto da te, che la crescita e la maturazione di un essere umano ubbidiscono a leggi interiori della persona… e a Qualcun Altro che opera la crescita e la maturazione. San Paolo, esperto educatore, afferma che «né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma è Dio che fa crescere».
SE SEI GENITORE
«La chiave che apre ogni porta è la pazienza. Ottieni la gallina covando l’uovo, non rompendolo» (Arnold Glasow).
«Non è tirando su lo stelo che si fa crescere il grano più in fretta. Bisogna saper pazientare con amore» (Abbé Pierre).
«Con il tempo e la pazienza la foglia di gelso diventa seta» (Proverbio cinese).
«Avere pazienza non vuol dire “doveva andare a finire così…”, ma “il bello deve ancora cominciare”» (Alessandro Pronzato).
«Imita l’ulivo: ne ha passate tante, eppure continua a prodigare olio e bagliori d’argento» (Pino Pellegrino).
«La pazienza si acquisisce in un solo modo: con pazienza!» (Proverbio).
DOMANDATI
- Cos’è che ti fa più spazientire di tua moglie/del tuo sposo/dei tuoi figli? In quali occasioni normalmente uno di voi perde la pazienza?
- Se il tuo sposo/a, i tuoi figli o i tuoi colleghi ti dovessero dare un voto per la pazienza, quale pensi che sarebbe e perché?
2- AMARSI CON UN CUORE GRANDE: L’amore è benevolo
Pazienza = sopportare. Benevolenza = supportare
Sono i due pilastri dell’amore. La pazienza va legata al «valore aggiunto» della bontà; e viceversa. Se amare è un’arte, «la capacità di restare felicemente sposati per tutta la vita dovrebbe figurare tra le belle arti» (Robert Flack).
Il bene bisogna «farlo bene»: occorre cioè aiutare veramente l’altro senza danneggiare se stessi. Donare non comporta tralasciare i propri interessi e piaceri, annullarsi nell’altro, tanto meno trascurare la famiglia, gli amici per darsi all’assistenza; non equivale a consumare se stessi, col rischio di diventare più nervosi con gli altri o pretenziosi nei loro confronti. Si tratta piuttosto di un coinvolgimento maturo, di un’abnegazione, non di un annullamento di sé.
Voler bene non significa aggrapparsi all’altro: prima o poi egli cercherà di evadere da un abbraccio soffocante.
Voler bene non significa nemmeno adattarsi all’altro, appagando tutti i suoi desideri. Prima o poi l’altro si annoierà, perché non ha più un partner ma un’appendice di se stesso.
Il segreto è diventare uno pur rimanendo se stessi; giungere all’armonia con se stessi entrando in comunione con l’altro. L’ossigeno deve rimanere ossigeno e l’idrogeno deve rimanere tale se si vuol bere acqua buona. La fusione dei corpi e degli spiriti non è mai con-fusione.
Chi ha l’animo buono si comporta da persona buona, pronuncia parole buone. Una persona buona emana calore dai suoi gesti: i suoi occhi, le sue mani, i suoi abbracci, i suoi baci rispecchiano la bontà del cuore.
Chi ha un cuore grande e ampio è generoso nel dare, ma altrettanto misericordioso nel giudicare.
Questa «grandezza di cuore» è solo il primo passo. Una volta accolta l’altra persona occorre chiedersi come poterla aiutare a migliorare. È la parte costruttiva dell’amore che cerca il bene massimo per il partner. La comprensione permette un contatto in profondità, la bontà costruttiva si trasforma in incoraggiamento («ti assicuro che puoi farcela») e in sfida («ti esorto con affetto e con decisione a dare il meglio di te»).
SE SEI GENITORE
«Padri e madri non sono quelli che generano. Padri e madri sono quelli che trasmettono amore, sono quanti educano all’amore» (David Maria Turoldo).
«L’educatore deve essere profeta, cioè indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno domani» (Lorenzo Milani).
«Signore, fammi essere un buon rabdomante, che sa trovare la vena dell’acqua buona nell’anima dei figli!» (Pino Pellegrino).
DOMANDATI
- Prova ad elencare tre atteggiamenti che, a tuo giudizio, ostacolano relazioni di benevolenza in famiglia o tra amici.
- Dai più valore alle persone o agli impegni, alle cose, all’immagine…?
- Ricordi qualche episodio recente in cui hai mostrato o ricevuto atti di benevolenza?
3- AMARE TANTO DA LASCIAR LIBERO L’ALTRO: L’amore non è invidioso (né geloso)
Poste le due colonne portanti, Paolo sente il bisogno di fare un’esemplificazione dettagliata dell’amore. La lunga esperienza gli ha insegnato quanto sia difficile amare, anche in presenza di una sincera buona volontà.
Paolo afferma quindi che la scelta di fondo dell’amore non è compatibile con qualunque forma di invidia o di gelosia: il bene dell’altro non è un limite per la persona che ama. Al contrario, costituisce, accolto ed amato, un arricchimento.
È invidioso chi desidera essere o avere quello che hanno gli altri. San Tommaso d’Aquino definisce l’invidia come il «dolore per il bene altrui». L’invidia è figlia della frustrazione. L’invidioso diventa il carnefice di se stesso. «L’invidia fa del male, ma sta peggio», sentenzia un proverbio.
L’invidia è del tutto funzionale alla nostra società basata sul consumo. Tutto oggi si basa sul “desiderare le cose altrui”. È una malattia che infetta un po’ tutti, un virus che contamina l’anima nel profondo. Nessuno vuole essere inferiore a nessun altro, dalla macchina, ai vestiti, al corpo stesso... Anche i propri figli devono primeggiare in tutto. Così «la vita diventa una versione sinistra del gioco delle sedie» (Zygmunt Bauman), un «gioco al massacro» come nel reality del “Grande Fratello”: se non riesci a nominare chi esce dal gioco, il probabile nominato sei tu. Con questa mentalità, oggi le relazioni si stanno trasformando nella fonte principale di ambiguità, di ansia e di violenza.
L’invidia si manifesta poi nel continuo paragonarsi agli altri. Tende a valutare, sottovalutare, svalutare, oppure a sopravvalutare. Di solito si cerca di sminuire l’altro per dare più valore a se stessi: questo è vero anche nel matrimonio. Trattasi di un’operazione molto faticosa: costringe a dover superare gli altri oppure getta nella depressione perché ci si sente inferiori.
Abba Poemen, un Padre del deserto, consigliava: «In qualunque luogo ti trovi non paragonarti agli altri e avrai pace». Fintanto che una coppia o una famiglia si paragona ad un’altra non troverà pace. Non sarà mai «a casa propria», ma sempre presso gli altri. Il continuo confronto tra famiglie innesca un processo per cui si pensa che ce ne sia sempre una migliore della propria e si può giungere a percepire quella a cui apparteniamo come la peggiore possibile, sino a provarne vergogna.
L’invidia è spesso associata alla gelosia, ma non sono la stessa cosa. La prima è risentimento verso qualcosa che un'altra persona ha; la seconda è paura che qualcuno porti via ciò che già si possiede. Se la gelosia è deliziosa durante il corteggiamento e praticamente essenziale nel primo anno di matrimonio, dopo diventa una tortura.
Il geloso è possessivo: pensa di essere amato davvero solo se lo è in forma esclusiva. Invece l’amore è l’unica banca nella quale più si dà, più crescono gli interessi.
Elimina dalla tua personalità ogni atteggiamento permaloso e difensivo.
Anche se a volte ti metti sulla difensiva, sappi che a nessuno piace essere criticato, messo in dubbio, controllato, aggredito, giudicato…
Prometti alla persona che ami di non essere per lei come un pezzo di mastice, ma come il cemento: vicino ma non ossessionante e appicicaticcio. Non c’è posto in amore per la gelosia. Rammenta spesso a te stesso e al tuo partner l’insegnamento di Gibran ne “Il Profeta”: «Tenetevi gli uni accanto agli altri, ma non troppo vicini, così come le colonne del tempio si ergono a distanza, come il cipresso e la quercia non crescono l’uno all’ombra dell’altra».
Fate vostro, insieme, questo programma di vita, scritto dalla psicologa Virginia Satir:
«Voglio poterti amare senza aggrapparmi. Apprezzarti senza giudicarti. Raggiungerti senza invaderti. Invitarti senza insistere. Criticarti senza biasimarti. Aiutarti senza umiliarti. Se vuoi concedermi la stessa cosa, allora potremo aiutarci reciprocamente a crescere».
DOMANDATI
- Degli altri che cosa invidi maggiormente: le cose, il carattere, la condizione sociale, il successo?
- Quando, come e con chi ti capita di manifestare atteggiamenti di gelosia e di invidia?
4- AMARSI CON UMILTÀ: L’amore non si vanta, non si gonfia
L’amore non gira a vuoto. L’amore non si disperde in parole, non è un hobby. Per amare molto, non è detto che occorra parlare molto!
L’amore non si gonfia. È l’atteggiamento di chi prova ad amare, ma ha bisogno di dirselo e di dirlo. Per Paolo l’umiltà è, in effetti, la prima condizione della vera carità: chi intende amare il prossimo deve per prima cosa «non sopravvalutare se stesso» (Rm 12,3).
Il termine latino humilitas deriva da “humus”, terra, terreno. Questa virtù indica il coraggio di accettare la propria natura terrena, di riconciliarsi col fatto che veniamo dalla terra, che siamo fatti di carne e di sangue, con forti istinti e bisogni. Scrive il rabbino Michael Shevack: «Per ottenere un amore divino, oltre a una buona dose d’amore, niente è più decisivo di un’abbondante spruzzata di polvere».
Le persone umili non sono persone che si fanno piccole, che si sottraggono ai compiti perché sentono di non esserne all’altezza. Sono, invece, persone che hanno il coraggio di guardare in faccia la propria verità e, perciò, appaiono modeste.
Un anonimo umorista, con una battuta, ha dato questa definizione di un matrimonio sano: «Condizione di una piccola comunità, costituita da un padrone, una padrona, e due schiavi: in tutto, due persone». Nel matrimonio, infatti, ciascuno dev’essere padrone di se stesso e nello stesso tempo sottomesso al partner. Sottomettersi significa tener conto della volontà dell’altro, dialogare, a volte rinunciare. Essere «coniugi» significa tirare l’aratro della vita «sotto lo stesso giogo», liberamente accolto.
Chi ama non è mai arrogante, né si sente il migliore in ogni cosa. Chi si reputa detentore della verità giunge facilmente a deridere e disprezzare.
Certo, abbiamo tutti bisogno di far vedere il lato migliore di noi stessi, ma guai se lo facciamo svalutando il partner. Spesso, infatti, si feriscono nel modo più duro le persone che amiamo di più: è un paradosso, ma è così. Ad esempio, non smettiamo mai di correggere i loro errori, criticare le loro decisioni, polemizzare con le loro posizioni. Non c’è nulla di male nell’aspettarci il massimo da coloro che amiamo, ma saper essere critici è un po’ come la microchirurgia… un’arte complessa. Può essere costruttiva, come può anche distruggere in un attimo la sanità di un rapporto. Umiliare un altro essere umano non serve mai a niente.
Ti auguro di liberarti dal complesso-vetrina o dalla sindrome del padre-eterno; di non voler essere sempre il protagonista numero uno. Dopotutto sei polvere, no? Bene: prendi allora l’aspirapolvere e togli di mezzo il tuo “ego”. Evita sciocchi commenti non richiesti. Ascolta in silenzio: se il tuo partner non si confida con te, se non può parlare dei suoi timori senza sentirsi fare un predicozzo, con chi potrà farlo? Ridi spesso col tuo partner, e non finirete mai di divertirvi!
SE SEI GENITORE
«Se c’è qualcosa che desideriamo cambiare nel bambino, dovremmo esaminare bene e vedere se non sia qualcosa che faremmo bene a cambiare in noi. Se il fiume è inquinato, occorre andare ad esaminarne la sorgente» (Carl Jung).
«Un figlio non è mai come lo abbiamo sognato; prima o poi bisogna accettare che sia ciò che è. E talvolta è difficile accettare i nostri figli, quando vediamo in loro i nostri difetti» (Denis Sonet).
«Non dite ai vostri bambini: Dovete riuscire nella vita! Dite loro: Realizzate la vostra vita! Vivete, è questo che vi viene domandato» (Prospèr Mounier).
DOMANDATI
- Sei facile a giudicare, criticare o denigrare gli altri per affermare te stesso/a o i tuoi cari?
- Se la tua famiglia è serena lo consideri un tuo merito e te ne vanti o un dono di Dio e quindi lo ringrazi?
- «Chi ha dei figli non dovrebbe mai meravigliarsi delle difficoltà dei figli degli altri, perché domani potrebbero capitare ai suoi…». Cosa pensi di questa massima educativa?
PREGA: Padre nostro degli sposi
Padre nostro,
tu capisci noi sposi e genitori,
perché tu stesso ami e sei datore di vita.
Educaci a comportarci
non con la rivendicazione del «mio»
ma con lo stile del «nostro».
Fa’ che ti riconosciamo come Signore
della nostra esistenza di coppia,
così che il tuo Nome sia riconosciuto da tanti.
La tua volontà si compia nella nostra vita quotidiana
e il tuo regno si realizzi già ora,
lungo le strade che Tu hai disegnato
per la nostra esistenza.
Aiutaci a vincere il consumismo,
a superare l’affanno dei giorni,
a non coltivare pretese a dismisura
e a condividere il più possibile con i poveri.
Guidaci a fare il primo passo
nel superare i musi lunghi e i cuori chiusi,
quando i contrasti o i battibecchi ci allontanano.
Liberaci dalla tentazione di paragonarci
continuamente alle altre famiglie,
di scoraggiarci e di isolarci,
di giudicarci o di essere prepotenti.
E la nostra vita sarà una lode a te.