UNA SPIRITUALITÀ PER IL CREATO - LO STUPORE, LA CONTEMPLAZIONE, LA BELLEZZA

Stiamo vivendo giorni difficili, incamminati verso una dittatura del pensiero. Si tende sempre più a scambiare, ad esempio, la realtà per fiction e la fiction per la realtà più vera, incamminati ad essere sconnessi col reale e del tutto immersi nel virtuale.
Hannah Arendt, nel testo ‘Le origini del totalitarismo’ ha scritto nel 1954: <>.
Dopo secoli di cultura materiale, cerchiamo oggi, ansiosamente, una spiritualità semplice e solida, basata sulla percezione del mistero dell’universo e dell’essere umano, sull’etica della responsabiltà, della solidarietà e della compassione, che ha il suo fondamento nella cura, nel valore intrinseco di ogni cosa, nel lavoro ben fatto, nella competenza, nell’onestà e nella trasparenza delle intenzioni.
L’essere umano deve incamminarsi verso questi valori, a partire da una profonda sensibilità e comunione con la vita stessa. Questa spiritualità ha tratti molto concreti. Può diventare un modo-di-essere con princìpi l’uno all’altro affini, a cui si aggiungono l’ospitalità, la cortesia e la gentilezza, impliciti in essi:
- la tenerezza vitale: è un aver cura senza ossessione, un impegno estremo, il “diventare duri, ma senza mai perdere la tenerezza (Che Guevara). E’ ciò che Pascal definiva ‘esprit de finesse’, lo spirito che aggiunge sensibilità e affetto al puro raziocinio;
- la carezza essenziale: è una delle massime espressioni della cura, è una mano rivestita di pazienza che consola e tocca senza ferire o manipolare;
- la cordialità fondamentale: implica la capacità di sentire il cuore dell’altro e il cuore segreto di tutte le cose; è un modo-di-essere che scopre un cuore che palpita in ogni cosa, in ogni pietra, in ogni stella e in ogni persona;
- la convivialità necessaria: dopo aver elaborato l’economia dei beni materiali è necessario sviluppare con urgenza l’economia delle qualità umane. Essa è un’ulteriore risposta alla crisi ecologica: o la stessa produzione diventerà conviviale, o la crisi si può trasformare in una catastrofe apocalittica (Ivan Illich);
- la compassione radicale: è un valore primario nel buddhismo e nelle religioni orientali. Nel cristianesimo si chiama ‘misericordia’, termine che rimanda ad un atteggiamento ‘viscerale’ e significa sentire la realtà dell’altro, soprattutto di chi soffre (com-passione è uguale a com-patire, patire-con). Nel momento supremo saremo giudicati sulla base della misericordia e della com-passione.

COME ARRIVARE A QUESTI MODI-DI-ESSERE?

Oggi, in Occidente, la stessa coscienza corre un grande pericolo perché è minacciata la condizione del suo esercizio, cioé la solitudine in quanto possibilità di raccoglimento e di silenzio interiore. Senza silenzio interiore, senza la capacità di meravigliarsi e di contemplare, non vi è nessun ascolto reale; senza ascolto, nessun pensiero creativo; senza pensiero creativo, nessuna coscienza; e la mancanza di coscienza è la fine dell’umanità.
Noi stessi dobbiamo educarci ed educare a far emergere la nostra natura di esseri umani, andando al fulcro essenziale dell’essere umano.
Sottolineiamo alcuni atteggiamenti di fondo, da recuperare e mettere al vertice del nostro cammino.
- Elogio del silenzio: è il valore che ci custodisce. San Basilio diceva: <>. Viviamo in un mondo fracassone, ma il silenzio è più ricco del rumore! La rugiada è silenzio, l’alba è silenzio, il tramonto è silenzio, il grano germoglia nel silenzio, il fiore che rallegra e che profuma lascia intatto il silenzio. È buono il silenzio arricchente, proprio di chi sa ascoltare. È arricchente il silenzio adorante, proprio di chi contempla, prega, medita.
- Elogio dello stupore: è il valore giovane, proprio dei bambini, un alleato del silenzio. Goethe affermava: <>: magnifico programma da rilanciare oggi. Un famoso scienziato ha scritto: <>. Secondo un vangelo apocrifo, Gesù avrebbe detto: <>. Il poeta Kahlil Gibran ha scritto: <>.
- Elogio della Bellezza: la bellezza ha di bello che è bella dovunque e sempre. Essa sorprende e appaga ma non basta mai. La bellezza invade ogni spazio dello spazio che occupa in totale silenzio e si espande come un profumo anche per chi non ha naso. La bellezza risplende della mano di chi l’ha compiuta, per questo accarezza gli occhi di chi guarda. Essa conduce per mano a vedere, stupirsi, riconoscere, ringraziare. Troverà sempre qualcuno che l’attenderà sulla soglia. Chi la ama ne è così rapito che non cerca altro. Essa pacifica ma non lascia in pace, rende inermi ma coraggiosi, semplici e valorosi. La bellezza è luce, la luce è bellezza, e sarà la prima cosa che vedremo dopo il ponte della morte. Sarà la prima cosa che ci toglierà il fiato, quando vedremo la bellezza di tutti gli esseri, la stessa bellezza del nostro essere trasfigurato e, tutti insieme, la bellezza di Dio!

IL CANTICO DELLE CREATURE

Tutti i racconti sono unanimi nell’affermare che Francesco «si rivolgeva con singolare affetto alle creature». Per questo camminava con rispetto sulle pietre per riguardo a Colui che si chiamò “pietra”; raccoglieva da terra le lumache e i vermi perché non venissero calpestati; d’inverno dava miele e vino alle api selvatiche perché non morissero di stenti.
Alla base di ciò c’è un’esperienza religiosa della paternità universale di Dio; non un freddo dogma, ma un’esperienza affettiva profonda. Implica una fusione cosmica con tutti gli elementi. Tutti e tutto vivono nella grande casa paterna: c’è una grande intimità con tutte le cose.
Questo amore verso tutti e tutte le cose fa sì che Francesco personalizzi tutti i suoi rapporti, persino con le virtù. La povertà è ‘madonna povertà’; e così vi è ‘la regina sapienza’, la ‘santa sorella semplicità’...
L’allodola poi è sorella allodola, il fratello lupo, il signor fratello sole, e la terra madre e sorella. Il mondo di Francesco è pieno di magìa, di riguardo e di rispetto. Gli piaceva considerarsi il menestrello di Dio. L’universo non è morto e inanimato; le cose non sono gettate a caso. Esse sono animate e personalizzate; esistono legami di consanguineità con l’uomo, convivendo nella casa dello stesso Padre.
Francesco fu un poeta capace di captare il messaggio trascendente e sacramentale proclamato da tutte le creature. Egli non si limita a cantare per mezzo delle creature: canta ‘con tutte le creature’. Da notare che nel Cantico non compaiono gli animali: in essi Francesco vedeva o il Creatore che li aveva fatti o il Redentore che essi simboleggiano: prova affetto per un verme perché nella Scrittura è detto «io sono un verme e non uomo»; si commuove davanti a un agnello pensando all’Agnello di Dio; predilige le creature aeree: «I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore; andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi al Signore»; tra loro privilegia “la sorella allodola che ha il cappuccio come i religiosi... E volando loda il Signore».
L’uomo moderno difficilmente canta con le cose. Perché non sta con loro. Sta sopra di loro. Il modo-di-essere-con-le-cose di Francesco, invece, si traduce in una riconciliazione paradisiaca dell’uomo con il suo universo.

Come leggere il Cantico
Vi sono molti modi di ‘leggere’ il Cantico di Frate Sole.
La prima, la più comune, prende in considerazione la portata poetica del testo; attraverso gli elementi elencati, il mistico Francesco ascende a Dio.
Egli si inserisce nella corrente dei grandi mistici, dai Salmi a San Giovanni della Croce. Molte le reminiscenze bibliche: il racconto della Creazione nella Genesi, i Salmi appunto (in particolare il 148), il Cantico dei tre fanciulli in Dn 3,46-90, le Beatitudini evangeliche. Sia il Cantico di Daniele che quello del Poverello d’Assisi hanno una struttura a cerchi concentrici.
Il Cantico di Frate Sole, in particolare, porta in scena prima i tre corpi celesti poi, con uno sguardo che da verticale si fa orizzontale, i quattro elementi fondamentali (Empedocle), infine - nel cuore della terra - stringe sull’uomo come creatura capace di perdonare e su “sora nostra morte corporale” nella prospettiva dell’aldilà.
Ma mentre nel modello biblico le creature e l’uomo attivamente lodano il Signore (”benedite”... “lodatelo”...) Francesco usa il passivo: «Laudato si’...». Egli lo fa «per incitare alla lode di Dio i cuori di coloro che ascoltano e affinché Dio stesso venga lodato dagli uomini e le sue creature». Quel ‘per’ viene interpretato da molti come “attraverso”. Dio è lodato “attraverso” le creature (o “da” esse, o “per” aver dato loro la vita). Francesco vede le creature come sacramenti di Dio: «de te, Altissimu, porta significazione».
San Francesco, avendo raggiunto l’esperienza di una riconciliazione totale con tutta la realtà’ rivela nel Cantico una dimensione archetipica dell’unità (archetipo=modello primitivo delle cose).
Il numero sette delle cose tradisce, inconsciamente, questa ricerca. Sette, come si sa, è formato da 3 + 4. Il 3 è simbolo della perfezione, poiché è superamento della dualità: il 3 è simbolo anche del cielo. Il 4 invece ricorda la terra: quattro erano i fiumi dell’antichità (Tigri, Eufrate, Nilo, Gange), quattro sono gli elementi fondamentali (terra, aria, acqua, fuoco), quattro i punti cardinali (spazio), quattro le stagioni (tempo), quattro le età dell’uomo (infanzia, giovinezza, età adulta, vecchiaia).
Il sette indica dunque completezza: in esso si incrociano le due linee, quella orizzontale e quella verticale, che insieme formano il simbolo della totalità, della completezza.
È interessante notare come il 7 sia presente nella facciata della nostra Cattedrale (ma qui vi è l’influsso di Gioacchino da Fiore, contemporaneo di Francesco - morto nel 1202). Nell’arco del protiro del nostro duomo sono 7 i Comandamenti scolpiti (non dieci), e sette le Beatitudini (non 8). Sette volte è raffigurata la Vergine, e sette per parte sono le donne che circondano la Madonna in trono nella lunetta del portale di sinistra. Sette sono le opere di misericordia corporale, e sette le opere di misericordia spirituale scolpite con simboli di animali nell’arco del portale di sinistra. Sette i vizi capitali e le loro conseguenze, scolpiti nell’arco del portale di destra...
Un altro simbolo di totalità che permea tutto l’Inno di Francesco è rappresentato dal maschile e dal femminile: Tutti gli elementi sono ordinati in coppie: sole-luna; vento-acqua; fuoco-terra. Tutte queste coppie sono inglobate nella grande coppia Sole-Terra. Si comincia cantando il signore e fratello Sole, simbolo della virilità e di ogni paternità, e si conclude con la lode a madre e sorella Terra, simbolo archetipo della femminilità e di ogni fecondità.
Un altro tipo di lettura, più profondo, sonda il subconscio del poeta mistico. Gli elementi materiali restano tali, ma acquistano un valore espressivo di uno stato dell’anima. È importante conoscere il contesto in cui nasce il Cantico. La ‘Leggenda Perugina’ ce lo suggerisce. Francesco è quasi cieco. Vede l’Ordine prendere direzioni che minacciano la povertà radicale. La Chiesa ha organizzato le Crociate.
È l’autunno del 1225. In San Damiano, vicino a Chiara, le sofferenze non gli danno pace. Quando prega è come in agonia. Finalmente una voce interna gli dice: «Francesco esulta perché la tua infermità è caparra del mio Regno, e per il merito della tua pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza di aver parte allo stesso Regno». In quel momento si fa giorno nella sua notte oscura. Il Regno, simbolo della riconciliazione totale, in un universo riappacificato, esplode in un inno: «Altissimo, onnipotente, bon Signore...». Francesco chiama i fratelli e con esso lo canta.
Il sole resta sole; la luna, luna; il fuoco, fuoco. Ma l’uomo esprime attraverso questi elementi il suo mondo interiore, l’essere-nel-mondo-con-tutte-le-cose, in una democrazia cosmica. Il mistero della terra si unisce al mistero delle stelle.
L’Inno contiene, alla fine, due strofe che furono aggiunte più tardi. In una si celebra la pace raggiunta da san Francesco tra il vescovo e il podestà di Assisi. L’ultima fu ispirata poco prima della morte, nei primi giorni dell’ottobre del 1226. Qui è cantato il cosmo umano, inserito nella grande fraternità universale, conquistata tra tensioni e sofferenze. Non si poteva lasciar fuori la tribolazione e i limiti della creatura umana.
L’uomo si riconcilia con l’altro uomo. Poi si riconcilia con la morte, accettando l’esistenza mortale. Integra la morte nella vita.
Francesco celebra il mondo come un paradiso, perché egli stesso si è trasfigurato: «Laudate et benedicite mi’ Signore, et rengratiate et serviteli cum grande humilitate».

 

 

 

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